La comunicazione politica nell'era post-moderna
Scritto da Susanna Martoni
Per contestualizzare la comunicazione politico-elettorale post-moderna e la cosiddetta era post-politica è corretto anticipare come l'avvento del capitalismo molecolare e la micromunicazione dell’era postfordista nella seconda metà degli anni ’70 abbiano annunciato la post-modernità, quando cioè la società si deverticalizza e la grande impresa entra in crisi con la delocalizzazione di impianti e produzione delle grande imprese nei paesi del terzo mondo (gli attuali paesi in via di sviluppo). La fine del compromesso social-democratico e dello stato interventista mette in rilevo la rivendicazione dell’autonomia a ogni costo. Nascono sul finire degli anni '70 le indipendenze regionali, le grandi tematiche legate al federalismo. Si consolida l'individualismo, nasce la microcomunicazione.
Siamo dunque nell'era della Neotelevisione (1975-1989) così come definita da Umberto Eco: una grande vetrina in cui vengono venduti i prodotti; si entra a pieno titolo nell’era del consumismo, con la televisione che entra nelle case di tutti. “Ciò che la TV non trasmette non esiste”, l'opinione è plasmata dal (e nel) tubo catodico. È il momento di programmi come “Drive in”, un elogio del disimpegno, e di “Cipria” di Enzo Tortora, dove i politici vengono mostrati nel quotidiano, lontani dall'agire politico. Gli Stati Uniti sfornano soap opera di vissuti nella bambagia, all'insegna della ricchezza, ovvero i vari “Beautiful” e “Falcon Crest”. Nel 1980 Reagan entra alla Casa Bianca, non a caso un ex attore. La politica vede nella televisione un formidabile mezzo di comunicazione e di esibizione. Nell'era del reaganismo entriamo davvero nella vera spettacolizzazione, narrativizzazione, personalizzazione. Nello story-telling.
Tutto ciò ha che fare (anche) con la persuasione, con i frame di George Lakoff. Si tratta di visioni del mondo, di come la realtà ci viene presentata in base a dei frame (dei riquadri, delle cornici) preesistenti. Andando per il sottile, esempi di framing sono i “missili intelligenti”, l'”esportazione della democrazia”, gli “immigrati illegali”.
La società è sempre più complessa (Lippmann) al punto da costruirci un pseudoambiente dove vige la legge della scorciatoia cognitiva, delle euristiche.
Più la società è complessa e maggiore è il bisogno di semplificazione attraverso un leader che prenda in mano la situazione.
Colin Crouch, un sociologo del lavoro che ha affrontato numerosi temi legati alla politica, introduce il termine post-democrazia a partire dalle riflessioni sulla massa dei cittadini che svolge un ruolo passivo, quasi apatico, che si limita a reagire ai segnali che riceve. Lo fa a partire alle riflessioni sull'impresa, che diviene modello istituzionale anche per il settore pubblico attraverso la ristrutturazione degli enti pubblici, resi più attraenti ai finanziatori privati. Lo fa anche a partire dall'Inghilterra laburista di Tony Blair – altro “uomo spettacolare e teleguidato da A. Campbell” - e della Terza Via. Manca, secondo Crouch, un potere economico in grado di indirizzare l'esercizio dei diritti democratici. Da qui l'analisi del formidabile impero economico costruito da Murdoch: l'economia che controlla politica, tanto è vero che pare che nessuna forza politica riesca a vincere le elezioni se non entra nelle grazie di uno dei suoi giornali, The Sun, di stampo piuttosto popolare.
Possiamo affermare che con T. Blair e A. Campbell nasce a pieno titolo la professionalizzazone della comunicazione politica, nascono nuove figure che ruotano attorno alla figura del politico per avvicinarlo al pubblico, per renderlo carismatica quanto basta a costruire un'immagine credibile e ad hoc per l'opinione pubblica.
Edoardo Novelli ci parla di turbopolitica e commenta che nell'era post-televisiva di oggi vediamo Silvio Berlusconi con la bandana e Massimo D'Alema che va in barca e prepara il risotto. Conseguenze del turbocapitalismo neoliberistico, insomma.
Il packaging del politico, anche se ha radici lontane, oggi più che mai ci viene imposto attravers i media e sembra imprescindibile. Il politico con i fiocchi, per l'appunto. Con il vestito nuovo, sempre sorridente e pronto a parlare delle issues che stanno a cuore ai cittadini. Pronto a mostrarsi al pubblico nei vari frame, nei pezzi di realtà, attraverso la pagina dello schermo (l'interfaccia umano-macchina, la finestra sul mondo di Manovich).
Superato un certo tipo di televisione (tradizionale), dobbiamo oggi fare i conti con i nuovi media.
Intanto, la TV è sul Web. Video on-demand. Informazione à la carte, quando vogliamo e dove vogliamo. L'homo videns di Sartori del 1997, teleguidato dallo spettacolo della politica, è più che mai attuale.
L'informatica e le telecomunicazioni ci restituiscono, sempre più, una sfera comunicativa dove i pochi che parlano ai molti (periodo delle ideologie) sono diventano i molti che parlano ai pochi. La comunicazione politica – che purtroppo è fatta anche di torni urlanti e di insulti come confronto - è penetrata nei nuovi media, naturalmente, e si fa sentire attraverso di essi. I media che plasmano la comunicazione. E ancora, comunicazione partecipata e circolarità, feedback, social network; i cittadini che rivendicano il diritto di dire la loro anche in mancanza di competenze.
I media che stabiliscono l'Agenda (agenda setting). Ancora: la spirale del silenzio della studiosa Noelle-Neumann diventa attualissima nel Web 2.0, con il concetto di maggioranza rumorosa e minoranza silenziosa, dove le opinioni della massa si conformano alle opinioni divulgate dai media.
Un fenomeno ancora acerbo in Italia, ma assai in voga negli Stati Uniti, riguarda le campagne elettorali via Internet attraverso i siti Web dei candidati (dove il cittadino può accedere a determinate tematiche – confezionate ad hoc e personalizzate in base alle proprie preferenze) e le comunicazioni via posta elettronica. Clinton, per esempio, in fase elettorale ha inviato migliaia e migliaia di e-mail a potenziali elettori contenenti comunicazioni mirate. Il Web favorisce anche la selezione comunicativa in base alla segmentazione dell'elettorato. Un mezzo economico, immediato ed evidentemente efficace.
Iperrealtà, dunque. Manomissione delle parole e manipolazione delle immagini.
Altra parola chiave: Infotainment come crasi di information e entertainment nel senso di spettacolarizzazione delle informazioni.
Anche il cambiamento, una delle macrosuddivisioni del marketing elettorale, continua a riflettersi nella postmodernità. Per esempio F. Hollande, neopresidente francese, ha tenuto i propri discorsi all'insegna dello slogan “Le changement est maintenant”.
Uno slogan già noto e, se non declinato, molto generale, ma che ci fa sempre sperare che, in fondo, qualcosa può sempre cambiare. Sia che ce lo comunichi la televisione, un messaggio in posta elettronica o un amico attivista che frequenta il Partito perché non possiede il PC.